lunedì 6 aprile 2009

Dinanzi alla legge, f. Kafka

Dinanzi alla legge sta un guardiaportone. Un giorno un campagnolo va da questo guardiaportone e chiede di entrare nella legge. Ma il guardiaportone gli dice che ora non può lasciarlo passare. L’uomo riflette e domanda se potrà entrare più tardi. «è possibile,» dice il guardiaportone, «ma ora no». E siccome la porta della legge è aperta come sempre e il guardiano s'è ritirato in disparte, l’uomo si china per guardare all’interno attraverso la porta. Quando il guardiaportone se ne accorge ride ed esclama: «Se ne hai tanta voglia, cerca di entrare ad onta del mio divieto. Ricordati, però: io sono potente. E sono soltanto l’ultimo dei guardiani. In tutti i saloni, uno dopo l'altro, ci sono guardiani, uno più potente dell’altro. Io stesso non riesco a sostenere già la vista del terzo.» Il campagnolo non si aspettava simili difficoltà; la legge, pensa, dovrebbe esser accessibile a tutti e in qualsiasi momento; ma ora, osservando più attentamente il guardiano nella sua pelliccia, con quel gran naso a punta, la lunga e sottile barba nera alla tartara decide che è preferibile aspettare finché non abbia ottenuto il permesso d'entrare. Il guardiaportone gli dà uno sgabello e lo fa sedere accanto della porta. Lì rimane seduto per giorni e anni. Fa molti tentativi per entrare e stanca il guardiano con le sue preghiere. Il guardiano procede spesso a dei piccoli interrogatori, gli chiede della sua patria e di molte altre cose, ma sono domande senza interesse, come le fanno i gran signori, e alla fine gli dice sempre che non può farlo entrare. L’uomo, che s'era provvisto di molte cose per il suo viaggio, si serve di tutto, anche degli oggetti più preziosi, per corrompere il guardiano. Questi prende ogni cosa, ma dice: «L'accetto perché tu non pensi di aver trascurato qualcosa.» Durante tutti quegli anni l’uomo osserva quasi ininterrottamente il guardiaportone. Egli si dimentica degli altri guardiani e gli sembra che solo questo primo sia l'unico ostacolo che gli impedisce d'entrare nella legge. Nei primi anni maledice senza riguardo e a voce alta la mala sorte, in seguito, divenuto vecchio, borbotta soltanto davanti a sé. Diventa puerile, e, poiché, studiando per tanti anni il guardiaportone, ha imparato a conoscere anche le pulci del suo bavero di pelliccia, scongiura anche le pulci di aiutarlo a commuovere il guardiano. Infine l luce dei suoi occhi si fa più debole e ignora se si sta facendo davvero buio intorno a lui o se sono i suoi occhi che l'ingannano. Adesso avverte però nell'oscurità uno splendore che emana ininterrottamente dalla porta della legge. Ormai non gli resta più molto da vivere. Prima della morte tutte le esperienze di quel lungo periodo si riassumono nella sua testa in una domanda che non ha ancora posto al guardiaportone. Gli fa un cenno, perché non può sollevare il suo corpo che si sta irrigidendo. Il guardiano deve abbassarsi molto, la differenza di statura è molto mutata a svantaggio dell’uomo. «Che cosa vuoi sapere ancora?» domanda il guardiano, «sei insaziabile.» «Tutti si sentono portati verso la legge,» dice l’uomo, «com'è possibile che in tutti questi anni nessuno all’infuori di me abbia chiesto di entrare?» Il guardiano s'accorge che l’uomo è ormai giunto alla fine e per raggiungere il suo udito che sta già spegnendosi gli urla: «Nessun altro poteva entrare da qui, questo ingresso era destinato soltanto a te. Adesso me ne vado e lo chiudo.»

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