mercoledì 30 dicembre 2009

Cat's pyjamas

What is the origin of the phrase "The Cat's Pajamas"?


"The cat's pajamas" (or pyjamas, depending on whether you're writing in American and British English) means, basically, "a really good thing" or sometimes "a really good new thing."

I'm not sure where that first answerer got their information, but the word has been around since the 1920's, definitely not the late 1700's. Some people think that cartoonist Tad Dorgan first came up with the phrase, as well as several others that didn't stick around including "the flea's eyebrows" and "canary's tusks."

Some other people think the phrase was used slightly earlier than the 1920's (but still not the 1700's!) by schoolgirls. Tad Dorgan just picked it up and made it popular.

There's not really a good explanation for how it started, unfortunately. It was part of a popular series of phrases in the 1920's about animals and body parts including he bee's knees, the snake's hips, the clam's garter, the eel's ankle, the elephant's instep, the tiger's spots, the leopard's stripes, the sardine's whiskers, and the pig's wings. Whoever first came up with cat's pajamas might have chosen the word "pajamas" because pajamas were new and cool in the 1920s, but basically, they were just going with the flow. Personally, I'm glad "cat's pajamas" stuck around instead of "elephant's instep."

Source(s):



 

martedì 13 ottobre 2009

Autunno


Veder cadere le foglie mi lacera dentro

soprattutto le foglie dei viali

Soprattutto se sono ippocastani

soprattutto se passano dei bimbi

soprattutto se il cielo è sereno

soprattutto se ho avuto, quel giorno,

una buona notizia

soprattutto se il cuore, quel giorno,

non mi fa male

soprattutto se credo, quel giorno,

che quella che amo mi ami

soprattutto se quel giorno

mi sento d'accordo

con gli uomini e con me stesso.

Veder cadere le foglie mi lacera dentro

soprattutto le foglie dei viali

dei viali d'ippocastani.


n. hikmet, veder cadere le foglie


Sono più miti le mattine

e più scure diventano le noci

e le bacche hanno un viso più rotondo.

La rosa non è più nella città.

L'acero indossa una sciarpa più gaia.

La campagna una gonna scarlatta,

Ed anch'io, per non essere antiquata,

mi metterò un gioiello.


e. dickinson, l'estate è finita

sabato 12 settembre 2009

mercoledì 12 agosto 2009

martedì 11 agosto 2009

ferie romane 1



http://it.wikipedia.org/wiki/Cappella_Sistina
http://www.romeguide.it/VATICANO/info_it.htm

domenica 21 giugno 2009

Appendice a Le liste dei libri...

Munirsi di quaderno, d'ora in poi Diario di Bordo, e annotare pensieri, riflessioni, aneddoti. Materia di riferimento: le letture, l'estate, noi/voi.

lunedì 15 giugno 2009

se una notte d'inverno un viaggiatore

Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell'indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c'è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!» Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo piú forte, grida: «Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!» O se non vuoi non dirlo; speriamo che ti lascino in pace.
i. calvino

mercoledì 3 giugno 2009

Giugno: le liste dei libri...

OBBLIGATORI: 1)Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis

E, A SCELTA, 2) J.W. Goethe Le affinità elettive OPPURE Mary Shelley Frankenstein o il Prometeo liberato

OBBLIGATORI ANCORA 3)Conrad Cuore di tenebra, 4) Franz Kafka La metamorfosi e altri racconti; FACOLTATIVI Robert Walser, Iacob von Gunten, Arthur Schnitzler Doppio sogno

GLI ITALIANI che porteremo in esame: (decidete voi quando leggerli!)

Italo Calvino Il sentiero dei nidi di ragno

Leonardo Sciascia: La strega e il capitano per il ling., La scomparsa di Majorana per lo scient.

Luigi Pirandello Il fu Mattia Pascal oppure Uno, nessuno, centomila

Italo Svevo La coscienza di Zeno

Elsa Morante L’isola di Arturo

Primo Levi Se questo è un uomo

Cesare Pavese La casa in collina

i contemporanei (OBBLIGATORIO LEGGERNE ALMENO UNO): 5)

Antonio Tabucchi Il filo dell’orizzonte

Maurizio Maggiani Il coraggio del pettirosso

Dacia Maraini, La lunga vita di Marianna Ucria

Erri De Luca, Tu, mio

SE VOLETE CIMENTARVI CON UN TESTO DI CRITICA LETTERARIA:

Antonio Prete Finitudine e infinito. Su Leopardi. Feltrinelli

SE VOLETE CIMENTARVI CON UN LIBRO INTERO DI POESIA:

Vittorio Sereni, Poesie (Einaudi Tascabili)

SE VOLETE STARE ANCORA DENTRO ALLA CIVILTA’ ROMANA

Sebastiano Vassalli, Un infinito numero

Infine, obbligatorio per tutti il saggio:

6) Alessandro Baricco I barbari

E NON DIMENTICATE DI GUARDARE ALMENO QUALCUNO DI QUESTI BELLISSIMI FILM!


Frankenstein (Branagh); Fanny e Alexander (Bergman); Il gattopardo (Antonioni);

La voce della luna (Fellini); Le vite degli altri; Una giornata particolare (Scola); Il cielo sopra Berlino (Wenders); 21 grammi ; Persepolis; Into the wild; Che cosa sono le nuvole? (Pasolini);


I cento passi (Giordana); Cinema Paradiso (Tornatore); La meglio gioventù (Giordana)

lunedì 1 giugno 2009

Del mondo antico e del mondo futuro
era rimasta solo la bellezza, e tu,
povera sorellina minore,
quella che corre dietro i fratelli più grandi,
e ride e piange con loro, per imitarli,

tu sorellina più piccola,
quella bellezza l'avevi addosso umilmente,
e la tua anima di figlia di piccola gente,
non ha mai saputo di averla,
perché altrimenti non sarebbe stata bellezza.

Il mondo te l'ha insegnata,
Cosi la tua bellezza divenne sua.

Del pauroso mondo antico e del pauroso mondo futuro
era rimasta sola la bellezza, e tu
te la sei portata dietro come un sorriso obbediente.
L'obbedienza richiede troppe lacrime inghiottite,
il darsi agli altri, troppi allegri sguardi
che chiedono la loro pietà! Cosi
ti sei portata via la tua bellezza.
Spari come un pulviscolo d'oro.

Dello stupido mondo antico
e del feroce mondo futuro
era rimasta una bellezza che non si vergognava
di alludere ai piccoli seni di sorellina,
al piccolo ventre cosi facilmente nudo.

E per questo era bellezza, la stessa
che hanno le dolci ragazze del tuo mondo...
le figlie dei commercianti
vincitrici ai concorsi a Miami o a Londra.
Spari come una colombella d'oro.
Il mondo te l'ha insegnata,
e cosi la tua bellezza non fu più bellezza.

Ma tu continuavi a essere bambina,
sciocca come l'antichità, crudele come il futuro,
e fra te e la tua bellezza posseduta dal Potere
si mise tutta la stupidità e la crudeltà del presente.
La portavi sempre dietro come un sorriso tra le lacrime,
impudica per passività, indecente per obbedienza.
Spari come una bianca colomba d'oro.

La tua bellezza sopravvissuta dal mondo antico,
richiesta dal mondo futuro, posseduta
dal mondo presente, divenne un male mortale.

Ora i fratelli maggiori, finalmente, si voltano,
smettono per un momento i loro maledetti giochi,
escono dalla loro inesorabile distrazione,
e si chiedono: "E' possibile che Marilyn,
la piccola Marilyn, ci abbia indicato la strada?"
Ora sei tu,
quella che non conta nulla, poverina, col suo sorriso,
sei la prima oltre le porte del mondo
abbandonato al suo destino di morte.


P. P. Pasolini

mercoledì 20 maggio 2009

Tutte le lettere d'amore

Tutte le lettere d’amore sono
ridicole.
Non sarebbero lettere d’amore se non fossero
ridicole.
Anch’io ho scritto ai miei tempi lettere d’amore,
come le altre,
ridicole.
Le lettere d’amore, se c’è l’amore,
devono essere
ridicole.
Ma dopotutto
solo coloro che non hanno mai scritto
lettere d’amore
sono
ridicoli.
Magari fosse ancora il tempo in cui scrivevo
senza accorgermene
lettere d’amore
ridicole.
La verità è che oggi
sono i miei ricordi
di quelle lettere
a essere ridicoli.
(Tutte le parole sdrucciole,
come tutti i sentimenti sdruccioli,
sono naturalmente
ridicole).
F. Pessoa

giovedì 7 maggio 2009

Mia moglie e il mio naso

- Che fai? - mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti allo specchio.  

- Niente - le risposi, - mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo, avverto un certo dolorino.  

Mia moglie sorrise e disse:  

- Credevo ti guardassi da che parte ti pende.  

Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda: 

- Mi pende? A me? Il naso? 

E mia moglie, placidamente: 

- Ma sì, caro. Guardatelo bene: ti pende verso destra.  

 

Avevo ventotto anni e sempre fin allora ritenuto il mio naso, se non proprio bello, almeno molto decente, 

come insieme tutte le altre parti della mia persona. Per cui m'era stato facile ammettere e sostenere quel che 

di solito ammettono e sostengono tutti coloro che non hanno avuto la sciagura di sortire un corpo deforme: 

che cioè sia da sciocchi invanire per le proprie fattezze. La scoperta improvvisa e inattesa di quel difetto 

perciò mi stizzì come un immeritato castigo.  

Desiderai da quel giorno ardentissimamente d'esser solo, almeno per un'ora. Ma veramente, più che 

desiderio, era bisogno: bisogno acuto urgente smanioso, che la presenza o la vicinanza di mia moglie 

esasperavano fino alla rabbia. [...] 

Chiudermi potevo soltanto nel mio scrittojo, ma anche lì senza poterci mettere il paletto, per non far nascere 

tristi sospetti in mia moglie ch'era, non dirò trista, ma sospettosissima. E se, aprendo l'uscio all'improvviso, 

m'avesse scoperto? 

No. E poi, sarebbe stato inutile. Nel mio scrittojo non c'erano specchi. Io avevo bisogno d'uno specchio. 

D'altra parte, il solo pensiero che mia moglie era in casa bastava a tenermi presente a me stesso, e proprio 

questo io non volevo. 

Per voi, esser soli, che vuol dire? 

Restare in compagnia di voi stessi, senza alcun estraneo attorno. 

Ah sì, v'assicuro ch'è un bel modo, codesto, d'esser soli. [...] 

Io volevo esser solo in un modo affatto insolito, nuovo. Tutt'al contrario di quel che pensate voi: cioè senza 

me e appunto con un estraneo attorno. Vi sembra già questo un primo segno di pazzia? Forse perché non 

riflettete bene. 


Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila, Mondadori, Milano, 1978

 

domenica 3 maggio 2009

Non si può evitare.

MI PIACE, NON MI PIACE
Mi piace: l'insalata, la cannella, il formaggio, i condimenti, le paste di mandorle, l'odore del fieno tagliato (mi piacerebbe che un « naso » fabbricasse un profumo simile), le rose, le peonie, la lavanda, lo champagne, le posizioni leggere in politica, Glenn Gould, la birra freddissima, i cuscini piatti, il pane tostato, i sigari Avana, Haendel, le passeggiate moderate, le pere, le pesche bianche o di vigna, le ciliege, i colori, gli orologi, le penne stilografiche, le piume per scrivere, le portate intermedie, il sale crudo, i romanzi realistici, il piano, il caffè, Pollock, Twombly, tutta la musica romantica, Sartre, Brecht, Verne, Fouríer, Ejzengtejn, i treni, il vino Médoc, il Bouzy, avere degli spiccioli, Bouvard e Pécuchet, camminare coi sandali di sera nelle stradine del Sud-ovest, la curva dell'Adour vista dalla casa del dottor L., i Marx Brothers, il serrano alle sette del mattino mentre si esce da Salamanca, ecc.
Non mi piace: i cagnolini lulú bianchi, le donne coi calzoni, i gerani, le fragole, il clavicembalo, Miró, le tautologie, i cartoni animati, Arthur Rubinstein, le ville, i pomeriggi, Satie, Bartok, Vivaldi, telefonare, i cori di bambini, i concerti di Chopin, le bransles della Borgogna, le danze rinascimentalí, l'organo, M.-A. Charpentíer, le sue trombe e i suoi timbali, il politico-sessuale, le scene, le iniziative, la fedeltà, la spontaneità, le serate con gente che non conosco, ecc.
Mi piace, non mi piace: il che non ha nessuna importanza per nessuno; il che, apparentemente, non ha senso. E però tutto questo vuol dire: il mio corpo non è lo stesso del vostro.

Roland Barthes, Barthes di Roland Barthes, Torino, Einaudi ‘80

domenica 26 aprile 2009

venerdì 24 aprile 2009

Esercitazione

Ritagliati 5 minuti della tua vita interiore, registrando in un flusso di coscienza tutto quello che passa per il tuo cervello.

mercoledì 22 aprile 2009

Congedo del viaggiatore cerimonioso

Amici, credo che sia
meglio per me cominciare
a tirar giù la valigia.
Anche se non so bene l’ora
d’arrivo, e neppure
conosca quali stazioni
precedano la mia,
sicuri segni mi dicono,
da quanto m’è giunto all’orecchio
di questi luoghi, ch’io
vi dovrò presto lasciare.

Vogliatemi perdonare
quel po’ di disturbo che reco.
Con voi sono stato lieto
dalla partenza, e molto
vi sono grato, credetemi,
per l’ottima compagnia.

Ancora vorrei conversare
a lungo con voi. Ma sia.
Il luogo del trasferimento
lo ignoro. Sento
però che vi dovrò ricordare
spesso, nella nuova sede,
mentre il mio occhio già vede
dal finestrino, oltre il fumo
umido del nebbione
che ci avvolge, rosso
il disco della mia stazione.

Chiedo congedo a voi
senza potervi nascondere,
lieve, una costernazione.
Era così bello parlare
insieme, seduti di fronte:
così bello confondere
i volti (fumare,
scambiandoci le sigarette),
e tutto quel raccontare
di noi (quell’inventare
facile, nel dire agli altri),
fino a poter confessare
quanto, anche messi alle strette,
mai avremmo osato un istante
(per sbaglio) confidare.


(Scusate. E’ una valigia pesante
anche se non contiene gran che:
tanto ch’io mi domando perché
l’ho recata, e quale
aiuto mi potrà dare
poi, quando l’avrò con me.
Ma pur la debbo portare,
non fosse che per seguire l’uso.
Lasciatemi, vi prego, passare. Ecco.
Ora ch’essa è
nel corridoio, mi sento
più sciolto. Vogliate scusare).

Dicevo, ch’era bello stare
insieme. Chiacchierare.
Abbiamo avuto qualche
diverbio, è naturale.
Ci siamo – ed è normale
anche questo- odiati
su più d’un punto, e frenati
soltanto per cortesia.
Ma, cos’importa. Sia
come sia, torno
a dirvi, e di cuore, grazie
per l’ottima compagnia.

Congedo a lei, dottore,
e alla sua faconda dottrina.
Congedo a te ragazzina
smilza, e al tuo lieve afrore
di ricreatorio e di prato
sul volto, la cui tinta
mite è sì lieve spinta.
Congedo, o militare
(o marinaio! In terra
come in cielo ed in mare)
alla pace e alla guerra.
Ed anche a lei, sacerdote,
congedo, che m’ha chiesto s’io
(scherzava!) ho avuto in dote
di credere al vero Dio.

Congedo alla sapienza
e congedo all’amore.
Congedo anche alla religione.
Ormai sono a destinazione.

Ora che più forte sento
stridere il freno, vi lascio
davvero, amici. Addio.
Di questo, son certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento.

Scendo. Buon proseguimento.
Giorgio Caproni

ISTRUZIONI PER L'USO: leggere questa poesia l'ultimo giorno di scuola, quando si pensa che si lascerà la classe per sempre. Commuoversi. Puntualmente l'anno dopo ricomparire il primo giorno di scuola.

lunedì 20 aprile 2009

un messaggio

L’imperatore – così si racconta – ha inviato a te, a un singolo, a un misero suddito, minima ombra sperduta nella più lontana delle lontananze dal sole imperiale, proprio a te l’imperatore ha inviato un messaggio dal suo letto di morte. Ha fatto inginocchiare il messaggero al letto, sussurrandogli il messaggio all’orecchio; e gli premeva tanto che se l’è fatto ripetere all’orecchio. Con un cenno del capo ha confermato l’esattezza di quel che gli veniva detto.  E dinanzi a tutti coloro che assistevano alla sua morte (tutte le pareti che lo impediscono vengono abbattute e sugli scaloni che si levano alti ed ampi son disposti in cerchio i grandi del regno) dinanzi a tutti loro ha congedato il messaggero. Questi s’è messo subito in moto; un uomo robusto, instancabile; manovrando or con l'uno or con l'altro braccio si fa strada nella folla; se lo si ostacola, accenna al petto su cui è segnato il sole, e procede così più facilmente di chiunque altro. Ma la folla è così enorme; le sue dimore non hanno fine. Se avesse via libera, all'aperto, come volerebbe! e presto ascolteresti i magnifici colpi della sua mano sulla tua porta. Ma invece come si stanca inutilmente! ancora cerca di farsi strada nelle stanze del palazzo più interno; non riuscirà mai a superarle; e anche se gli riuscisse non si sarebbe a nulla; dovrebbe aprirsi un varco scendendo tutte le scale, e anche se gli riuscisse, non si sarebbe a nulla: c'è ancora da attraversare tutti i cortili; e dietro a loro il secondo palazzo e così via per millenni; e anche se riuscisse a precipitarsi fuori dall'ultima porta-ma questo mai e poi mai potrà avvenire-c'è tutta la città imperiale davanti a lui, il centro del mondo, ripieno di tutti i suoi rifiuti. Nessuno riesce a passare di lì e tanto meno col messaggio di un morto. Ma tu stai alla tua finestra e ne sogni, quando giunge la sera.

domenica 19 aprile 2009

La casa di Asterione

"E la regina dette alla luce un
figlio che si chiamò Asterione"
Apollodoro, Biblioteca, III, 1

So che mi accusano di superbia, e forse di misantropia o di pazzia. Tali accuse (che punirò al momento giusto) sono ridicole. È vero che non esco di casa, ma è anche vero che le porte (il cui numero è infinito) restano aperte giorno e notte agli uomini e agli animali. Entri chi vuole. Non troverà qui lussi donneschi né la splendida pompa dei palazzi, ma la quiete e la solitudine. E troverà una casa come non ce n'è altre sulla faccia della terra (Mente chi afferma che in Egitto ce n‘è una simile). Perfino i miei calunniatori ammettono che nella casa non c'è un solo mobile. Un altra menzogna ridicola è che io, Asterione, sia un prigioniero. Dovrò ripetere che non c'è una porta chiusa, e aggiungere che non c'è una sola serratura? D’altronde, una volta al calare del sole percorsi le strade; e se prima di notte tornai, fu per il timore che m'infondevano i volti delia folla, volti scoloriti e spianati, come una mano aperta. Il sole era già tramontato, ma il pianto accorato d'un bambino e le rozze preghiere del gregge dissero che mi avevano riconosciuto. La gente pregava, fuggiva, si prosternava; alcuni si arrampicavano sulle stilobate del tempio delle Fiaccole, altri ammucchiavano pietre. Qualcuno, credo, cercò rifugio nel mare. Non per nulla mia madre fu una regina; non posso confondermi con volgo, anche se la mia modestia lo vuole.

La verità è che sono unico. Non m'interessa ciò che un uomo può trasmettere ad altri uomini; come il filosofo, penso che nulla può essere comunicato attraverso l'arte della scrittura. Le fastidiose e volgari minuzie non hanno ricetto nel mio spirito, che è atto solo al grande: non ho mai potuto ricordare la differenza che distingue una lettera dall'altra. Un' impazienza generosa non ha consentito che imparassi a leggere. A volte me ne dolgo, perché le notti e i giorni sono lunghi.

Certo non mi mancano distrazioni. Come il montone che s'avventa, corro pei corridoi di pietra fino a cadere al suolo in preda alla vertigine. Mi acquatto all'ombra di una cisterna e all'angolo d'un corridoio e giuoco a rimpiattino. Ci sono terrazze dalle quali mi lascio cadere, finché resto insanguinato. In qualunque momento posso giocare a fare I’addormentato, con gli occhi chiusi e il respiro pesante (a volte m’addormento davvero; a volte, quando riapro gli occhi, il colore del giorno è cambiato). Ma, fra tanti giuochi, preferisco quello di un altro Asterione. Immagino che egli venga a farmi visita e che io gli mostri la casa. Con grandi inchini, gli dico: "Adesso torniamo all'angolo di prima ", o "Adesso sbocchiamo in un altro cortile ", o "Lo dicevo io che ti sarebbe piaciuto il canale dell'acqua", oppure: "Ora ti faccio vedere una cisterna che s'è riempita di sabbia ", o anche "vedrai come si biforca la cantina ". A volte mi sbaglio, e ci mettiamo a ridere entrambi.

Ma non ho soltanto immaginato giuochi; ho anche meditato sulla casa. Tutte le parti della casa si ripetono, qualunque luogo di essa è un altro luogo. Non ci sono una cisterna, un cortile, unafontana, una stalla; sono infinite le stalle, le fontane, i cortili, le cisterne. La casa è grande come il mondo. Tuttavia, a forza di percorrere cortili con una cisterna e polverosi corridoi di pietra grigia, raggiunsi la strada e vidi il tempio delle Fiaccole e il mare. Non compresi, finché una visione notturna mi rivelò che anche i mari e i templi sono infiniti. Tutto esiste molle volte, infinite volte; soltanto due cose al mondo sembrano esistere una sola volta: in alto, l'intricato sole; in basso, Asterione. Forse fui io a creare le stelle e il sole e questa enorme casa, ma non me ne ricordo.

Ogni nove anni entrano nella casa nove uomini, perché io li liberi da ogni male. Odo i loro passi o la loro voce infondo ai corridoi di pietra e corro lietamente incontro ad essi. La cerimonia dura pochi minuti. Cadono uno dopo l'altro, senza che io mi macchi le mani di sangue. Dove sono caduti restano, e i cadaveri aiutano a distinguere un corridoio dagli altri. Ignoro chi siano, ma so che uno di essi profetizzò, sul punto di morire, che un giorno sarebbe giunto il mio redentore. Da allora la solitudine non mi duole, perché so che il mio redentore vive e un giorno sorgerà dalla polvere. Se il mio udito potesse percepire tutti i rumori dei mondo, io sentirei i suoi passi. Mi portasse a un luogo con meno corridoi e meno porte! Come sarà il mio redentore? Sarà forse un toro con volto d'uomo? O sarà come me?

Il sole della mattina brilla sulla spada di bronzo. Non restava più traccia di sangue.

"Lo crederesti, Arianna? "disse Teseo. "Il Minotauro non s'è quasi difeso." 

j. l. Borges

martedì 14 aprile 2009

Didattica: cuore rivelatore

1. Ricostruisci la fabula
2. Individua i massimi punti di tensione
3. Quali tecniche della durata sono usate?
4. Quali elementi sono forniti per definire lo spazio?
5. Definisci narratore e punto di vista
6. Nel racconto è presente l'uso della ripetizione: con quali effetti?

13/03/1997

venerdì 10 aprile 2009

[Sì, sì, così, l'aurora sul mare]


3 ombre corrosive contro
                                  l'ALBA
i venti via via lavorando impastando il mare così muscoli e
sangue per l'Aurora
EST     luce gialla sghimbescia
   Poi
   un verde diaccio
   slittante
                                                                 Poi

NORD  un rosso strafottente
  rumore duro vitreo
Poi un grigio stupefatto
Le nuvole rosee sono delizie lontane
  fanfare di carminio     scoppi di scarlatto

fievole NO grigio    tamtam di azzurro
No       Sì
           NO
              SÌ
                 sì
           sì       sì
                       SÌ
                          SÌ
           giallo reboante

                          Meraviglia dei grigi
Tutte le perle dicono   SÌ

                Ragionamenti persuasivi verdazzurri delle rade adescanti
                I lastroni lisci violacei del mare tremano di entusiasmo
                Un raggio rimbalza di roccia in roccia
                La meraviglia si mette a ridere nelle vene del mare
                Rischio di una nuvola blu a perpendicolo sul mio capo
                Tutti i prismatismi aguzzi delle onde impazziscono
                Calamitazioni di rossi

                        Una vela accesa
                                   scollina all'orizzonte che trema
                                            ROMBO D'ORO
risucchio di tre ombre in quella rada mangiata dal sole
- bocca denti sanguigni bave lunghe d'oro che beve il mare
e addenta rocce
                     SÌ      semplicemente
                         SÌ
                         elasticamente

                          pacatamente
                          CÓSÌ
ancora
                       ANCORA
           ANCORA
                       MEGLIO COSÌ





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f. t. marinetti 

martedì 7 aprile 2009

il viaggio, c.baudelaire

Per il fanciullo che di mappe e stampe
è appassionato, l'universo è pari
alla sua brama illimitata. Il mondo
come è grande alla luce delle lampade,
e com'è, invece, agli occhi del ricordo,
meschino! Noi partiamo all'alba, colmo 
il cervello di fiamma, il cuore gonfio
di rancore e di amari desideri,
e andiamo sul finito degli oceani
cullando l'infinito nostro, l'onda
seguendo nel suo ritmo: lieti, gli uni,
di fuggire una patria infame, gli altri,
l'orrore della loro terra, ed altri,
astrologhi annegati dentro gli occhi
d'una donna, i profumi perigliosi
di una Circe tirannica. Si inebriano
di luce, spazio e di infuocati cieli
per non esser mutati in bestie; il gelo
che li morde e i soli che li abbronzano
lentamente cancellano le tracce
dei baci. Ma può dirsi un viaggiatore
solo chi parte per partire: lieve
ha il cuore a somiglianza del pallone,
non si allontana mai dal suo destino,
senza sapere perché dice:partiamo!
E colui che possiede desideri
che hanno forma di nuvole, e chi sogna
-come il coscritto il suo cannone-immense
ignote e varie voluttà, il cui nome
non ha saputo mai l'umano spirito.

 

lunedì 6 aprile 2009

Dinanzi alla legge, f. Kafka

Dinanzi alla legge sta un guardiaportone. Un giorno un campagnolo va da questo guardiaportone e chiede di entrare nella legge. Ma il guardiaportone gli dice che ora non può lasciarlo passare. L’uomo riflette e domanda se potrà entrare più tardi. «è possibile,» dice il guardiaportone, «ma ora no». E siccome la porta della legge è aperta come sempre e il guardiano s'è ritirato in disparte, l’uomo si china per guardare all’interno attraverso la porta. Quando il guardiaportone se ne accorge ride ed esclama: «Se ne hai tanta voglia, cerca di entrare ad onta del mio divieto. Ricordati, però: io sono potente. E sono soltanto l’ultimo dei guardiani. In tutti i saloni, uno dopo l'altro, ci sono guardiani, uno più potente dell’altro. Io stesso non riesco a sostenere già la vista del terzo.» Il campagnolo non si aspettava simili difficoltà; la legge, pensa, dovrebbe esser accessibile a tutti e in qualsiasi momento; ma ora, osservando più attentamente il guardiano nella sua pelliccia, con quel gran naso a punta, la lunga e sottile barba nera alla tartara decide che è preferibile aspettare finché non abbia ottenuto il permesso d'entrare. Il guardiaportone gli dà uno sgabello e lo fa sedere accanto della porta. Lì rimane seduto per giorni e anni. Fa molti tentativi per entrare e stanca il guardiano con le sue preghiere. Il guardiano procede spesso a dei piccoli interrogatori, gli chiede della sua patria e di molte altre cose, ma sono domande senza interesse, come le fanno i gran signori, e alla fine gli dice sempre che non può farlo entrare. L’uomo, che s'era provvisto di molte cose per il suo viaggio, si serve di tutto, anche degli oggetti più preziosi, per corrompere il guardiano. Questi prende ogni cosa, ma dice: «L'accetto perché tu non pensi di aver trascurato qualcosa.» Durante tutti quegli anni l’uomo osserva quasi ininterrottamente il guardiaportone. Egli si dimentica degli altri guardiani e gli sembra che solo questo primo sia l'unico ostacolo che gli impedisce d'entrare nella legge. Nei primi anni maledice senza riguardo e a voce alta la mala sorte, in seguito, divenuto vecchio, borbotta soltanto davanti a sé. Diventa puerile, e, poiché, studiando per tanti anni il guardiaportone, ha imparato a conoscere anche le pulci del suo bavero di pelliccia, scongiura anche le pulci di aiutarlo a commuovere il guardiano. Infine l luce dei suoi occhi si fa più debole e ignora se si sta facendo davvero buio intorno a lui o se sono i suoi occhi che l'ingannano. Adesso avverte però nell'oscurità uno splendore che emana ininterrottamente dalla porta della legge. Ormai non gli resta più molto da vivere. Prima della morte tutte le esperienze di quel lungo periodo si riassumono nella sua testa in una domanda che non ha ancora posto al guardiaportone. Gli fa un cenno, perché non può sollevare il suo corpo che si sta irrigidendo. Il guardiano deve abbassarsi molto, la differenza di statura è molto mutata a svantaggio dell’uomo. «Che cosa vuoi sapere ancora?» domanda il guardiano, «sei insaziabile.» «Tutti si sentono portati verso la legge,» dice l’uomo, «com'è possibile che in tutti questi anni nessuno all’infuori di me abbia chiesto di entrare?» Il guardiano s'accorge che l’uomo è ormai giunto alla fine e per raggiungere il suo udito che sta già spegnendosi gli urla: «Nessun altro poteva entrare da qui, questo ingresso era destinato soltanto a te. Adesso me ne vado e lo chiudo.»

venerdì 3 aprile 2009

Primo giorno

Lettere. Prof. Indiveri

-1 qUadern0 ad aNelle granDi o piccole
-si pUò diviD3re in seTtori
-si possono uSare fogli colORati