giovedì 7 maggio 2009

Mia moglie e il mio naso

- Che fai? - mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti allo specchio.  

- Niente - le risposi, - mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo, avverto un certo dolorino.  

Mia moglie sorrise e disse:  

- Credevo ti guardassi da che parte ti pende.  

Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda: 

- Mi pende? A me? Il naso? 

E mia moglie, placidamente: 

- Ma sì, caro. Guardatelo bene: ti pende verso destra.  

 

Avevo ventotto anni e sempre fin allora ritenuto il mio naso, se non proprio bello, almeno molto decente, 

come insieme tutte le altre parti della mia persona. Per cui m'era stato facile ammettere e sostenere quel che 

di solito ammettono e sostengono tutti coloro che non hanno avuto la sciagura di sortire un corpo deforme: 

che cioè sia da sciocchi invanire per le proprie fattezze. La scoperta improvvisa e inattesa di quel difetto 

perciò mi stizzì come un immeritato castigo.  

Desiderai da quel giorno ardentissimamente d'esser solo, almeno per un'ora. Ma veramente, più che 

desiderio, era bisogno: bisogno acuto urgente smanioso, che la presenza o la vicinanza di mia moglie 

esasperavano fino alla rabbia. [...] 

Chiudermi potevo soltanto nel mio scrittojo, ma anche lì senza poterci mettere il paletto, per non far nascere 

tristi sospetti in mia moglie ch'era, non dirò trista, ma sospettosissima. E se, aprendo l'uscio all'improvviso, 

m'avesse scoperto? 

No. E poi, sarebbe stato inutile. Nel mio scrittojo non c'erano specchi. Io avevo bisogno d'uno specchio. 

D'altra parte, il solo pensiero che mia moglie era in casa bastava a tenermi presente a me stesso, e proprio 

questo io non volevo. 

Per voi, esser soli, che vuol dire? 

Restare in compagnia di voi stessi, senza alcun estraneo attorno. 

Ah sì, v'assicuro ch'è un bel modo, codesto, d'esser soli. [...] 

Io volevo esser solo in un modo affatto insolito, nuovo. Tutt'al contrario di quel che pensate voi: cioè senza 

me e appunto con un estraneo attorno. Vi sembra già questo un primo segno di pazzia? Forse perché non 

riflettete bene. 


Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila, Mondadori, Milano, 1978

 

1 commento:

  1. Esser soli senza noi stessi. Vivere senza essere mai nati. Il senso di disorientamento provato dal protagonista deriva dal fatto che cessa in quel momento in cui (non riconoscendosi nell'immagine che gli altri hanno di lui)egli non può più considerarsi o immedesimarsi con il proprio io, ma con qualcosa (qualcun) d'altro.

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